Ecce Homo. Elogio dell’altro - La Cartaia, Vaiano / Museo Pecci, Prato (1998)
Il Muro Occidentale o del Pianto 1993
Riaffrontando una mia antica mostra, "Ebrea", come un bagaglio da tempo chiuso, mi sono subito accorto di una sua sinistra attualità. Il razzismo, oggi come prima, opera estesamente in Occidente come[...]
Riaffrontando una mia antica mostra, "Ebrea", come un bagaglio da tempo chiuso, mi sono subito accorto di una sua sinistra attualità.
Il razzismo, oggi come prima, opera estesamente in Occidente come ricerca estrema di identità, o come volontà conclusiva di una resa dei conti. Riparte da zero, cancellando l'interlocutore, seguendo l'ipotesi di una realtà così indipendente dal corso degli eventi, da sembrare regolamento di conti arcaici, da sembrare o forse essere fuori da qualsiasi attualità della 'storia'.
Quale dolore, cecità, morte e angustia di mente comporti questo malore occidentale, è facile verificare ogni giorno nella cronaca mediterranea ed europea, e non solo.
La poesia opera delle diagnosi e fa dei confronti, ne trae sue conseguenze di giudizio, compone metafore espressive, quando vi riesce, efficaci, capaci di incidere per lo meno previsionalmente nel corso dei fatti. Non è un pronto soccorso, ma un soccorso intellettuale, affidato al tempo nella solida completezza della sua formulazione.
Il "Muro Occidentale o del Pianto", come viene chiamato a Gerusalemme il muro residuo del Tempio di Salomone, è qui riedificato con valige. Tentativo di rappresentare quel necessario muro dell'ideale o della fede intellettuale, fra tutti i bagagli in transito, costretti ad espatriare, o portare con sè identità incenerite. E' una costruzione di provenienze dissimili che sta in piedi da sola, senza altro sostegno che la propria evidente complessità.
Il morbido, il duro, il cartone, il cuoio sono, in questo muro, pietre e persone, un unico collage autoportante.
Anche ad Auschwitz uno dei documenti più impressionanti lo edifica un cumulo di valige. Ognuna, nel nome e nell'indirizzo scritto sopra, comporta la certezza del ritorno. Qui il legame con la mostra "Ebrea", allestita a Venezia la prima volta nel 1971, è palese.
Il Muro è a filo come una vera parete, ed è sconnesso, a volumi variabili, nell'altro lato. Proprio come la composizione moderna delle trasmigrazioni. Dettate da numerose cause si presentano eccessivamente enigmatiche per essere subito composte e decifrate.
Negli anfratti del "Muro Occidentale o del Pianto", gli Israeliti infilano biglietti di carta con preghiere: relativi a l'anima, gli affetti, ai corpi, al come vivere la vita sulla terra.
Li ho simulati in un unico rotolo di tela. Una sorta di preghiera dell'arte. Il Muro è il luogo, dicono gli Israeliti, dove Dio senz'altro ascolta: è il luogo del valore, quindi.
Vi cresce anche una pianta, segno di un proseguimento di esistenza frammista che le pietre mute e squadrate o le valige vuote e inerti nemmeno loro possono impedire.
*Il presente testo, che ha accompagnato sempre l'esposizione de "Il Muro Occidentale o del Pianto", fu inserito nella prima esposizione alla XLV Biennale di Venezia, nel 1993. E' parte, quindi, dell'opera.
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